12 novembre 2016

CVA: COMPAGNIA VALDOSTANA DELLE ACQUE PRESTO QUOTATA BORSA. QUALI I RISCHI?

State attenti alla Cva e a scelte affrettate Lo impone una legge di questo governo liberticida e ultraliberista: liquidare, privatizzare, svendere le aziende pubbliche, dalle poste, alle ferrovie, a quelle dell’energia, e per venire a noi alla Compagnia Valdostana Acque, l’azienda regionale di proprietà interamente della Regione e proprietaria di tutte le più grandi centrali idroelettriche nel nostro territorio e altro ancora.

E così, se non vogliamo che la Cva finisca nelle mani di qualche multinazionale, di un fondo pensioni, o di qualche banca dovremmo acquistarci per la terza volta le nostre acque. La prima fu nel 1784 quando tutti i Comuni valdostani si tassarono per acquistare le acque dai nobili indigeni compresi i Savoia, pagando ben 780.000 in lire d’oro, diritto poi riconfermato anche dal Codice Albertino. La seconda, nel 2001 quando acquistammo dall’Enel le centrali per 1800 miliardi di vecchie lire, centrali di cui l’Enel, dal 1964 anno della nazionalizzazione, aveva oramai abbondantemente ammortizzato l’investimento occorso per acquistarle dalle aziende private quali la Sip. La terza sarà nei prossimi mesi se, come ho detto, non vogliamo che la Cva finisca in mano a speculatori, approfittatori con gravi conseguenze per il nostro territorio e ambiente. 

Ma è proprio necessario mettere la Cva sul mercato azionario con il rischio, anzi la certezza che con un’Opa (offerta di acquisto) finisca in proprietà a società che non centrano nulla con la nostra regione e, visti i lauti profitti che genera, acquistino e controllino la maggioranza del pacchetto azionario e di conseguenza decidano le politiche aziendali, economiche e finanziarie dell’azienda?

L’alternativa c’è, ma forse Rollandin & C. ha bisogno di fare cassa, per la prossima campagna elettorale. O ancora peggio, tramite qualche «testa di legno » non gli basta controllarne i profitti, dove investirli, quali aziende finanziare, (vedi Casinò) ma, magari in cordata con qualcun altro, vorrebbe metterci le mani sopra e tenersi i profitti senza dover rendere conto al Consiglio regionale? Qual è l’alternativa? Una società ad azionariato popolare accessibile innanzitutto a tutti i cittadini valdostani ove nessun soggetto, compresi banche locali, comuni e altri enti, possa superare, per esempio, il 5% della proprietà. 

In questo modo avremmo raggiunto almeno quattro obbiettivi: 
1) restare noi proprietari della Cva. 
2) Controllare meglio il prelievo di acque rispettando e ampliando il deflusso minimo vitale e cioè: consumo umano, flora e fauna e anche a fini turistici.
3) Decidere noi se gli utili della società ad azionariato popolare debbano essere distribuiti agli azionisti o utilizzati per abbassare il costo della bolletta della luce.
4) Le assunzioni nell’azienda saranno meno clientelari.

Già le nostre acque non sono più nostre. Infatti con trecento e più centraline idroelettriche private, praticamente su tutti i torrenti, ruscelli, Dora compresa, i maggiori profitti vanno nelle tasche dei soliti noti che in questi decenni hanno incassato con il beneplacito di Comuni e Regione utili molto consistenti e che addirittura nel nuovo piano acque vorrebbero ancora maggiore possibilità di captazioni.

Tutto questo con il silenzio assordante dei nostri Comuni che lamentano la mancanza di soldi pur avendo, se lo volessero, una miniera d’oro da utilizzare, anzi una miniera d’acqua invece di accontentarsi delle briciole. 

E a proposito del prossimo piano acque, noi e altre associazioni, come Attac Valle d’Aosta, le proposte le abbiamo fatte. I rinnovi delle subconcessioni ai privati non possono avvenire come ora in automatico. Le quote di proprietà dei Comuni vanno riviste al rialzo pena il mancato rinnovo della subconcessione. Capovolgimento del paradigma: ovvero la Regione deve stabilire come, quanto e dove si possano captare le acque, distinguendo a secondo della portata stagionale di torrenti, ruscelli, eccetera Queste captazioni devono essere messe all’asta e vinca il migliore, ponendo fine una volta per tutte che le subconcessioni vadano ai soliti noti, con le decine e decine di domande di captazioni giacenti e in attesa di qualche spinta o scambio di favori.

ALESSANDRO BORTOT LEVIS
NUS

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La divaricazione tra liberalismo e democrazia spinge l’uno e l’altra verso due estremi che rischiano di allontanarsi sempre di più.

Da un lato il sistema globale neoliberale tende ad emanciparsi dai governi nazionali, dettando loro le proprie regole, senza farsi carico degli interessi e delle volontà dei popoli.

Dall’altro le democrazie, chiuse nei confini dei singoli Stati, incorporano dosi sempre maggiori di populismo anti-istituzionale, col rischio di cancellare le indispensabili mediazioni rappresentative.

Così i due processi opposti di globalizzazione e nazionalizzazione minacciano di deflagrare.

La via da seguire sarebbe un’altra.

Quella di articolare istituti democratici e istanze sovranazionali, diritto pubblico e diritto privato.

La stessa Unione Europea, con tutte le sue contraddizioni, costituisce per sempre l’unico spazio in cui tali esigenze possono trovare una misura comune.

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